martedì 17 novembre 2009

La ridondanza dell'eco: la storia di Albert Emme

La Ridondanza dell'eco, eco, eco, co, co, o, o è l'ultimo capolavoro di P. A. Zerf. Questo romanzo di ampio respiro narra le vicissitudini di Albert Emme; nome di fantasia come specifica l'autore. Non è dato di sapere con precisione se quella raccontata sia, o no, una storia vera; anche se il sottotitolo "storia vera" nella copertina fa pensare di sì. Questo libro, come ogni capolavoro, è un genere di nicchia; un po' come il genere gonzo o anal nel porno e, in quanto tale, solo pochi possono apprezzarne la profondità del messaggio.

Il libro in oggetto è una spietata, fredda, cruda ma lucidissima analisi della società moderna, percepità da Zerf come culla di menzogne. Il personaggio Albert Emme è la tipica persona normale che un evento scatenante trasforma in serial killer. L'evento è la metafora della quotidianità, ovvero, un'occasione, una possibilità che può accadere ad ognuno di noi. Albert Emme incontra una piacevole ragazza, alta, bella che però ha il vizio di chiudere la portiera della macchina con troppo impeto. Il rumore provocato dallo sbattere della portiera risveglia in Albert antichi e dolorosi ricordi, sopiti da anni di psicoterapia e psicofarmaci. Dolorosi ricordi che esploderanno in furiosa rabbia omicida.

Zerf racconta con meticolosa precisione da certosino l'antefatto dal quale si snoda tutto il libro. Albert da piccolino viveva in una casa a due piani. La sua cameretta con la carta da parati con le api, i barattolini di miele e i favi era posizionata sotto la camera da letto dei suoi genitori. I sonnellini del giovane futuro serial killer erano spesso disturbati da uno "sleng sleng" ritmato. Per molto tempo Albert non riuscì a dare una spiegazione a questo rumore; un giorno a scuola, dopo l'ennesima competizione su chi avesse il pene più lungo, Albert chiese consiglio al compagniuccio Frederick Effe. Scrive Zerf:

Frederick rispose: "Albert sei proprio un babbucchione!! Lo sleng sleng del quale mi racconti sono le molle del materasso dei tuoi genitori!! E' tuo papà che da sfogo ai suoi istinti animali mettendo il pene nella vagina di tua mamma!!"

In queste pagine che scandagliano la mente umana, si vede tutto il talento narrativo di Zerf, che scrive:

In Albert scatta qualcosa. La risposta di Frederick è una lama sul collo. Albert sa che suo padre Sir Basilius Emme vive in ufficio; ma sa anche che ultimamente in casa girano troppi idraulici, piastrellisti e un ballerino di flamenco con le credenziali di elettricista.

Ovviamente il giovane Emme non può rassegnarsi ad avere una mamma lasciva. Decide di chiedere spiegazioni alla genitrice. In questo dialogo, Zerf tratta con impressionante competenza lo spinoso argomento del complesso di Edipo:

"Madre, ho bisogno di parlarti" disse Albert con gli occhi che sfuggivano.
"Un attimo figliolo" rispose dalla camera con voce affannata la madre, senza che quel sinistro sleng sleng cessasse per un solo secondo.
Dopo qualche minuto la madre socchiuse la porta, rimanendo con il corpo che sembrava nudo dietro allo scudo di rovere. Albert potè vedere il viso della madre arrossato e imperlato di sudore; il rossetto diventato macchia intorno alle labbra. Nel vedere la madre così, come un personaggio dei dipinti di Toulouse Lautrec, il giovane Albert ebbe una timida erezione, foriera di abbondanti polluzioni notturne anche nei sonni ad occhi aperti in classe nell'ora di trigonometria. Dentro la camera avvertiva la presenza di un corpo, sentiva un respiro affannato. Quel corpo non aveva viso né nome.
"Dimmi tesoro, ma veloce che la mamma stava riposando".
"Madre da molte settimane il mio sonno è disturbato da un molesto sleng sleng che proviene da qui! Sai dirmi cos'è?" chiese Albert trattenendo a fatica le lacrime.
"Tesoro mio, da qui? Sei sicuro?"
Nello stesso preciso istante, da dietro la porta di rovere esplose uno sleng sleng. La presenza senza viso né nome (ma che avrà il nome e il viso di ogni futura vittima), dopo essersi nettata le pudenda si era tuffata sul letto. La madre giratasi di scatto bofonchiò: "Tanto bello e sessualmente attraente, quanto stupido!"
Poi guardò dritta negli occhi il figlio: "Ah, intendi questo rumore? Mio dolce fuco, questo rumore proviene da fuori. E' il carrozziere che chiude le portiere delle macchine che sta riparando!"
Albert guardò la madre, quasi ringraziandola per quella bugia: "E' un rumore fastidiosissimo, madre, mi innervosisce tanto che potrei uccidere!"

Questo dialogo cruciale per l'economia del libro, farà cadere Albert nell'inferno della serialità assassina. Ucciderà per la prima volta per caso. La prima vittima sarà una cameriera colpevole solo di avergli macchiato i pantaloni beige con del cappuccino. Macchia quasi impossibile da vedere, tanto che Albert non era nemmeno sicuro che la goccia fosse effettivamente finita sui suoi pantaloni. Il primo omicidio, gli diede la consapevolezza di poter uccidere e la convinzione di farlo in nome di Buddha. Albert girava sempre con un auricolare bluetooth, una sorta di scudo come scrive Zerf:

Albert sapeva che in nessun luogo era a riparo dalle menzogne. L'unico modo per difendersi era evitare di sentirle. Decise così di chiudere un orecchio al mondo tenendolo impegnato per sempre con un auricolare bluetooth. Il destino beffardo volle che un giorno da quell'auricolare un'interferenza gli fece sentire una conversazione tra un uomo ed una certa Valeria. Albert cercò subito di capire quale arcano volere gli avesse fatto sentire questa conversazione e, soprattutto, perchè il nome Valeria.
"Forse Buddha vuole che io uccida Valeria?" si chiese.
"Perchè no?" rispose Buddha dall'auricolare bluetooth.

Il libro continua con un pathos sempre in crescendo. Concluderei dicendo che in questa opera ritroviamo la splendida penna di Zerf che come un bisturi seziona il cervello del piccolo Albert Emme, cercando fra le sinapsi l'iter che lo ha portato a diventare assassino. Posso solo dire che è un romanzo che merita tantissimo e gli Spandau Ballet hanno comprato i diritti d'autore per fare la colonna sonora, sperando che qualcuno ne tragga un film. Non dalla colonna sonora, dal libro.

Nelle prossime ore: La Ridondanza dell'Eco

A breve la recensione dell'ultimo incredibile lavoro di Pickett Anderson Zerf. Una storia che gronda sangue da ogni riga per questo si sconsiglia di leggerlo sul divano. Una storia di violenza inaudita e contagiosa che vi farà venire voglia di uccidere il vostro vicino di casa. No, non quello antipatico, troppo facile, ma il vecchietto in pensione gentile e cortese.

martedì 17 marzo 2009

1936 - la ribellione, il perfezionismo, la galera.

Poco si sa del Pickett giovane: le poche notizie che abbiamo ci danno un quadro complessivo da cui si evince che fosse un ragazzo difficile, scontroso e insofferente a qualsiasi tipo di disciplina e gerarchia. Un episodio su tutti è quello della detenzione in carcere.
Nel 1936 a 18 anni, Pickett Anderson Zerf, finì per due giorni in prigione per atti vandalici contrari al pubblico decoro (così nela casellario giudiziario di Belp, pag.42, quadro A, sezione penale - 1936).
Zerf amava decorare i treni della stazione di Belp (pratica oggi assai diffusa tra i giovani), solo che a quel tempo non c'erano le bombolette spray e tutto doveva essere fatto con pennello e tavolozza.
Zerf impiegò ventidue ore a dipingere una parte del treno (la foto in alto lo ritrae in opera) decidendo, poiché era un perfezionista, di riprodurre un quadro in voga in quel periodo, la Ragazza alla finestra di Pablo Picasso.
La polizia allertata, aspettò che il ragazzo finisse l'opera per arrestarlo.
La famiglia dovette pagare la riverniciatura del treno.

mercoledì 11 marzo 2009

1941 - La vita fa schifo.
Pensieri per le nuove generazioni.

Mentre la guerra imperversava e insanguinava mezza Europa, Pickett Anderson Zerf e Petra, sua moglie, ebbero un'accesa discussione (come raccontato dallo stesso autore nel suo, ormai, celeberrimo diario).
Il 6 dicembre del 1940 Petra comunicò al marito il suo desiderio di avere dei figli.
Pickett reagì male: secondo il nostro autore, infatti, non avrebbe avuto senso "gettare nel mondo triste" un'altra vita.
Per giorni i due non si parlarono.
Non riuscendo a convincere la moglie, Pickett decise di approfondire la questione e si ritirò nel suo studio.
Venti giorni dopo, presentò al suo editore un testo dattilografato dal titolo La vita fa schifo. Pensieri per le nuove generazioni che venne pubblicato l'anno seguente.
In esso l'autore, fermo restando l'inutilità stessa della vita e di ogni sforzo, apre ad un pensiero positivo ed entusiasta.
"La vita fa veramente schifo (pag.16 corsivo nel testo) ma dopo che sei nato, ormai, che senso ha ricordarlo?".
"Anche i rapporti personali fanno schifo (continua a pag. 28) ma basta poco per innalzare un ponte levatoio di diffidenza ".
"La vita è fatta per porvici rimedio - diceva Soflocle - e lo dico pure io" (ibidem pag.33).
"Ma esiste la redenzione?" si chiede Zerf a pag. 35.
"No" si risponde.
E la pubblicicazione finisce.
Tronca.
Sì seppe in seguito che Pickett divenne padre nove mesi dopo essere tornato dall'ufficio del suo editore.

martedì 3 marzo 2009

1940 - Zerf vs. Streicher: In difesa di tutte le razze


Julius Streicher, tedesco, fu un leader del Partito nazionalsocialista ed editore del settimanale violentemente antisemita Der Stürmer.
Dopo la seconda guerra mondiale guerra, Streicher figurò tra gli imputati al processo di Norimberga, accusato di essere uno dei principali istigatori dell'odio razziale nei confronti della popolazione ebraica che aveva condotto alla Shoah.
Queste poche righe riassumono la vita di uno dei più controversi pubblicisti e autori del secolo scorso con cui anche il nostro P.A. Zerf ebbe a scontrarsi.
Successe intorno al 1938: P.A. Zerf, preso nella morsa delle sue riflessioni sul tempo, decise nel gennaio di quell'anno che "una modifica del contesto può comportare una modifica nella testa". Una frase incomprensibile scritta su un bigliettino che P.A. lasciò a sua moglie Petra.
Gli studiosi sono concordi nel ritenere che il "cambio del contesto" non fosse altro che una breve fuga dal suo eremo in cui si era confinato da anni, mentre il "cambio nella testa" fosse, più che altro, la segreta speranza che questa fuga potesse dare risposte alle tante domande che negli anni si era posto.
Decise di soggiornare a Duntergrass, poco lontano da Belp, e passare il tempo a fare quello che (a suo dire) sapeva far meglio: pescare.
Sin da piccolo infatti, il piccolo Willy si era appassionato alla pesca, sognando il blu dell'oceano attraversato da gruppi infiniti di pesci.
Dopo circa due anni, sulla riva del ruscello Tainder, trovo una pagina strappata e accartocciata del famigerato Der Stürmer il cui titolo dell'articolo recitava "La razza eletta contro la razza inferiore da distruggere". Benché la lettura della pagina fosse compromessa dai tagli alla carta e ormai l'inchiostro fosse sbiadito, Zerf fu comunque attraversato da un'ondata di disgusto: si arrabbiò a tal punto da tornare a Belp il giorno stesso e si chiuse nel suo studio.
Due mesi dopo, nel novembre del 1940, venne pubblicato "In difesa di tutte le razze" un violento pamphlet contro Der Stürmer e Julius Streicher, firmatario dell'articolo che lo aveva fatto imbestialire.
Dividere i pesci in pesci eletti e da eliminare è quanto di più spregevole ci possa essere anche perché, scrive lo Zerf, malgrado le differenze, sono simili infatti per ognuno di loro "la parte inferiore del loro corpo è piena di terminazioni nervose che fungono da organi tattili"(ibidem pag.35).
Solo menti malate, a detta del nostro autore, possono pensare di introdurre queste assurde divisioni, propagandandole con tale ferocia.
"L'oceano è attraversato da gruppi infiniti di pesci, tutti uguali tra loro "(ibidem pag.48) sentenzia Zerf e continua "E' giusto, a questo punto, considerare i tedeschi un popolo inferiore".
Il libello in questione, oltre a far infuriare i vertici del Reich (Hitler lo voleva morto e mise su di lui una taglia di 15 mila Marchi), non ebbe alcun altro successo.
Il dibattito che si aprì negli anni '70 del secolo scorso non condusse a nessuna soluzione: non riuscendo a definire, una volta per tutte, se si trattasse di un coraggioso libello metaforico contro il nazionalsocialismo oppure un trattato di ittica, gli studiosi preferirono dimenticarlo.

lunedì 2 marzo 2009

Escatologia e scatologia in P.A. Zerf



La teoria finale sul tempo di P.A.Zerf, gia abbozzata in Essere in tempo, trova una sistemazione quasi definitiva tra le righe di articolo pubblicato nell'eminente Belp Tribune, il 15 dicembre del 1942, da titolo "La fine, infine".
Sin dall'inizio della sua tribolata esperienza come pensatore, il problema del fine ultimo dell'esistenza ha rappresentato, e rappresenta tutt'oggi per tutti coloro che si sono appassionati al pensiero, alle opere e alle omissioni del grande filosofo, un argomento di indagine e di acceso dibattito.
Nell'articolo sopracitato lo Zerf ammette, con rara onestà, di non avere la men che minima idea di cosa significi il termine escatologia e di far finta, dopo aver letto Abelardo, di conoscerne la semantica.
Si può dunque parlare di escatologia senza sapere cosa significa: questa è uno dei punti fermi.
L'uomo, è dunque, gettato nell'esistenza in una condizione di buio totale, e arranca, senza sapere bene cosa stia realmente facendo.
"La vita è fatta per porvici rimedio" sentenzia lo Zerf.
Ma la svolta verso il nulla è sempre dietro l'angolo.
"Magari senza volerlo, magari senza cercarlo, ma alla fine arriva.
Puoi guardarti alle spalle quando vuoi, puoi camminare all'indietro o strisciare rasente i muri, ma alla fine arriva.
E non c'è niente da fare. "
Molti, nella "cosa che deve arrirare" vedono la presentificazione della morte terrena, altri della malattia.
Niente di entrambe a nostro giudizio.
La cosa che deve arrivare è il mare fecale della sfortuna, lo tsunami della malasorte.
"Io non vinco mai" c'è scritto in conclusione dell'articolo e suona lapideo e destrutturante.
Malgrado tutto però, il suo approccio positivo all'esistenza lo porterà al quel temporaneo e non duraturo successo che il suo pensiero riscontrò verso la fine della seconda guerra mondiale e di cui ci occuperemo in seguito.

venerdì 27 febbraio 2009

Zerf control

Il giovane Zerf avama dipingere e giocare a dama, suonare il corno e frustare i cavalli da tiro di nonno Peterhanselegretel.
Quando non era scuola, i suoi pomeriggi adolescenziali erano scanditi da un ritmo calmo, ma ben definito: dipingeva una striscia verde su una tela, muoveva un pezzo della dama, suonava una nota con il corno e dava 107 frustate ben assestate al povero cavallo del nonno Peterhanselegretel (e a volte le prendeva anche il nonno).
L'incontro con Petra sconvolse tutto: scoprì che c'era di meglio che frustare i cavalli, e si dedicò al corteggiamento.
La deriva onanista di Zerf si concluse il 12 gennaio del 1940, quando, dopo quattro anni di frustate, Petra si decise a sposarlo.

giovedì 26 febbraio 2009

Pickett Anderson Zerf e l'incontro con Robert Allen Zimmerman

Chi è Bob Dylan? Il portavoce di una generazione di utopie? L'ultimo bardo di una tradizione perduta? Menestrello elevato al rango di poeta? Appena sembra di averlo inquadrato in una definizione, eccolo già lontano nella direzione opposta. Una maschera enigmatica e sfuggente, in perenne contraddizione con la propria immagine.
Chi è Bob Dylan? Ma soprattutto: chi era Bob Dylan prima di incontrare William Pickett Anderson Zerf? Bob Dylan nasce il 24 maggio 1941, al secolo Robert Allen Zimmerman, e prima del 1962, anno nel quale incide il suo primo lavoro discografico con il titolo di "Bob Dylan", era un ragazzo piuttosto confuso che lavorava come "omino dell'acqua" e frequentava un corso para-universitario per piantare viti e chiodi. La musica, in quel periodo, non aveva nessuna valenza nella sua esistenza, anzi, si racconta che un giorno venne picchiato perché suonando un citofono era riuscito a farlo scordare. E' nell'estate del 1960, quando incontrerà Zerf, che nascerà il Bob Dylan che tutti conoscono attualmente. Il filosofo pensatore, a metà anni 50, aveva realizzato i primi prototipi di orologio da polso da 1,80 metri di diametro. Però, si ponevano i primi problemi pratici. Dove riporre un orologio simile prima di andare a dormire, visto che il comò non è abbastanza grande? Questa riflessione lo portò alla stesura di un breve saggio dal titolo "Dove va riposto il tempo?" nel quale dopo 8 mesi di alacre lavoro, Zerf risolse il problema costruendo un comò con una superficie di appoggio di 2,5 metri per 2,5 metri. Brillante soluzione, peccato che con un comodino di siffatta grandezza, non ci fosse più spazio per il letto nella camera da letto. Si poneva un nuovo problema che venne trattato, per altro con poca convinzione, nel saggio "Può una camera da letto diventare una camera da comò?". La risposta fu "Perchè no?". Il problema di dove riporre l'orologio da polso con diametro di 1.80 metri, rimaneva però insoluto. Dopo 5 anni di durissima sperimentazione, che portò ad una forte depressione, Zerf trovò una soluzione. In quegli anni Zerf, dato importantissimo, viveva a Duluth. Come sia finito lì ,è un'altra lunghissima storia che meriterebbe un suo spazio. Alle 9 di mattina di un giorno di un estate qualunque, che qualunque non era, bussò alla porta l'omino dell'acqua. Zerf, indossando il suo orologio da polso da 1,80 metri di diametro, aprì. Un gentilissimo ventenne gli porse le sue sei bottiglie d'acqua e lo guardò perplesso.
"Posso farle una domanda?" chiese il ventenne imberbe.
"Perchè no?" rispose Zerf.
"Il suo orologio è molto bello ma dove lo ripone prima di andare a dormire?"
"La risposta, amico mio, sta soffiando nel vento... ma non riesco a coglierla" rispose Zerf.
Il giovane imberbe rimase scosso, strabuzzò gli occhi e trascrivendo subito quelle parole sul taccuino, sul quale annotava gli ordini dell'acqua, tra sè e sè pensò: "con una simile frase beccherò un sacco di ciccetta (a Duluth ciccetta, in slang, significa ragazze N.d.A)!!".
Zerf guardò il giovane che sembrava proprio un giovane educato e di buona famiglia.
"Posso chiederle una cortesia?" domandò il giovane cortesemente.
Zerf lo guardò mentre la sua vocina diceva "normalmente le poche persone che ti trattano con rispetto o non ti conoscono o stanno cercando maldestramente di fregarti" ma, fedele al suo metodo rispose "Perchè no?".
Il giovane, in quella giornata calda, voleva placare l'arsura della sua gola con un po' d'acqua fresca.
W. P. A. Zerf lo invitò ad entrare. Nacque così una splendida amicizia, anche se alcuni detrattori sostengono fosse un amore omossessuale.
"Come ti chiami?" chiese Zerf al giovane.
"Robert Allen Zimmerman"
"Dovresti cambiarlo in Bob Dylan, altrimenti non farai mai successo come cantautore" rispose subito Zerf.
"Scusi? Io non voglio fare il cantautore".
"Ah, bella questa. Perchè no?" disse subito Zerf, applicando il suo noto metodo.
"A dire il vero non saprei... io sto studiando come piantatore di viti e chiodi, sono al terzo anno" concluse Robert Allen Zimmerman.
Zerf si bloccò come illuminato da una verità abbagliante. Non appena si riprese dal torpore abbracciò il ragazzo (alcuni detrattori sostengono fosse un abbraccio omosessuale).
"Grazie, grazieeee!!" urlò Zerf "hai risolto un problema che mi attanaglia da anni. Sono anni che rotolo come una pietra senza meta per risolvere questo problema!"
Robert Allen Zimmerman rimase perplesso ma estrasse ancora il suo taccuino e tracrisse "come una pietra rotolante".
Zerf intuì la perplessità sul volto del giovane.
"Vedi Bob" inizò Zerf "sono anni che sto cercando di capire dove riporre il mio orologio da polso prima di andare a dormire. Ho scritto saggi, ho progettato nuovi comodini ed, in un momento di delirio, anche una chaise-longue. Tu mi hai dato la soluzione! Una vite!! I tempi stanno cambiando, ora ho la soluzione. Riporrò il mio orologio da polso su una vite attaccata al muro". Robert Allen Zimmerman estrasse ancora una volta il taccuino e segnò "I tempi stanno cambiando".
In quattro e quattr'otto, Zerf e Zimmerman, piantarono una vite nel muro della camera da letto. Ponendo fine ad un'annosa questione. Si salutarono.
"Arrivederci, Robert" disse Zerf.
"Mi chiami pure Bob" rispose Zimmerman.
"Allora ci stai pensando ad un futuro da cantautore" continuò Zerf.
"Parlare con te William, mi ha fatto nascere qualche idea in testa, poi ho sempre sognato di suonare l'arpa celtica" ribattè Zimmerman.
"Chiamami professor Pickett Anderson Zerf e lascia stare l'arpa celtica. Buttati sulla chitarra, chitarra elettrica!!"
"Mmmmhhh, chitarra, chitarra elettrica?" pensò Zimmerman "Perchè no?".

mercoledì 25 febbraio 2009

ZERF E LA PUNTUALITA’

Durante il periodo di soggiorno nella Biblioteca di Belp, un giorno, per caso, Zerf si ritrovò a disegnare l’ennesimo orologio su un libro che avrebbe influenzato non poco il suo futuro pensiero.
Il libro in questione era “Essere e tempo” (Sein und Zeit, prima edizione 1927, Halle,Germania) di Martin Heiddegger. La lettura di questo testo, che impegnò Zerf per circa nove mesi, lo spinse verso la formulazione del concetto di temporalità relativa descritta nell’opera “Essere in tempo” (Sein auf Zeit, prima edizione 1933, Belp, Svizzera). Ancora oggi, la teoria zerfiana della temporalità relativa o anche cultura dell’essere ma non ora, poggia su due pilastri fondamentali del pensiero del noto inventore-filosofo: la misurazione del tempo (che però non viene mai citata nel testo) e la teoria del “perché no?”. Se per Heidegger “L'uomo è l'ente che ha il suo senso - la sua luce - in sé stesso. Il senso dell'essere non è metafisico - semplicemente presente davanti a noi - ma originario: qualcosa che, essendo nostro, ci possiede. Questo qualcosa è la temporalità”, per Zerf il concetto di temporalità è meramente legata al fluire del tempo. Nella sua opera, Zerf scrive “Secondo Heidegger, l’uomo ha il suo senso in se stesso. Se ciò è vero, la presenza dell’uomo su un piano metafisico impone imprescindibilmente la presenza dell’uomo su un piano fisico. L’assenza dell’uomo su un piano fisico allora non coincide con la presenza dell’uomo su un piano metafisico” (ibidem, pag. 42-44). Questo primo passo rappresenta l’introduzione al capitolo successivo, in cui Zerf, citando ancora la frase del filosofo tedesco "L'essenza dell'Esserci consiste nella sua esistenza", introduce il concetto di essere ma non ora, ovvero di come l’esistenza dell’uomo sia indissociabile dalla sua presenza. In questo capitolo (forse unico completo di tutta l’opera zerfiana), il filosofo-inventore misura, tramite un apposito strumento di ricerca empirica di cui però lui non fa mai menzione, come la presenza dell’uomo “nel tempo e in tempo” modifichi la realtà circostante. La tesi di Zerf “essere puntuali aiuta le relazioni con il prossimo anche se le persone putuali normalmente sono le più antipatiche” si colloca come antecedente a quella che viene considerata da molti l’opera più famosa e importante di Zerf, ovvero la teoria del “perché no?”. Nel testo, infatti, Zerf arriva alla conclusione “Arrivare in ritardo? Perché no?” nonostante tutta l'opera sia una celebrazione alla puntualità. Molti studiosi hanno analizzato quest'opera di Zerf fino al 1948, anno in cui il famoso ricercatore James Carter Hoterig arrivò alla conclusione”Il pensiero di Zerf? Perché no?”. Da allora non ci fu più nessuna discussione sull'opera di Zerf.

Pickett Anderson Zerf e l'errore di Yalta

La Conferenza di Yalta (o Jalta) è il nome del vertice tenutosi, dal 4 all'11 febbraio 1945, durante la Seconda Guerra Mondiale nel quale i leader di tre paesi presero alcune decisioni importanti su come proseguire il conflitto, sull'assetto futuro della Polonia e sulla nuova Società delle Nazioni. I tre protagonisti furono Franklin Delano Roosvelt, Winston Churchill e Stalin, capi dei governi degli Stati Uniti, del Regno Unito e dell'unione Sovietica. Non venne invitato il leader francese Charles de Gaulle. Alcuni storici sostengono che de Gaulle venne escluso, perchè rifiutò di cambiare il nome del suo stato in Francia unita o, tutt'al più, Unione Francese. "A quei tempi, i simboli erano importanti, e Francia Unita, avrebbe dato l'idea di coesione e forza" scrive Reickerman in "La conferenza di Yalta". Ma altri documenti storici ci raccontano un'altra verità. I diari di Zerf, custoditi nella fondazione omonima ed ora consultabili, rivelano nuovi aspetti storici, e aggiungerei sorprendenti. Ai tempi dell'organizzazione della Conferenza di Yalta, Zerf aveva 25-26 anni, e lavorava come segretario presso l'ente governativo anglo-americano incaricato di occuparsi di tutti gli aspetti riguardanti l'organizzazione della conferenza stessa. Fu lui che scrisse le lettere d'invito per gli invitati principali Roosvelt, Churchill, Stalin e De Gaulle. La storia, come tutti sanno, racconta che De Gaulle fu l'escluso per eccellenza. Tutte le teorie fin qui esposte per giustificare l'esclusione, sono spazzate via dal diario di Zerf. Il 28 novembre 1944, racconta W.P.A. Zerf, festeggiò il compleanno di Pablo, un clandestino haitiano con velleità poetiche, e si ubriacò di rhum. Ricorda Zerf che nel pomeriggio dello stesso giorno aveva scritto gli inviti per Churchill, Roosvelt e Stalin ma non quello di de Gaulle perchè aveva finito la carta da lettere. Lo avrebbe fatto il giorno dopo, e così fece. La mattina del 29 novembre 1944, fu di parola. Appena entrato in ufficio scrisse subito l'invito per il leader francese. Sarà stata la stanchezza o i postumi della sbornia... confuse la Y con la M. Che strana coincidenza. Qualsiasi altra lettera avrebbe composto il nome di un posto inesistente. Invece, la Emme sostituiva la Ypsilon, invitando De Gaulle a Malta, invece che a Yalta. Alcuni sostengono che l'errore fu voluto, perchè Zerf non credeva che de Gaulle fosse presidente di qualche cosa e perché era convinto che i francesi non potessero arrivare a cariche di prestigio. Perciò, ora, si può dire con certezza che De Gaulle non venne escluso, ma fu vittima di un errore di battitura. Le conseguenze furono molto più gravi di quello che la storia racconta. Secondo i piani della Conferenza di Yalta, la Francia a fine guerra, avrebbe annesso, Olanda, Spagna e grande parte della Germania seguendo l'ottica di smembramento, disarmo e smilitarizzazione della Germania, come "prerequisiti per la pace futura". Anche il Liechtenstein sarebbe andato alla Francia, insieme al comune di Abbiategrasso... ma quelle furono le perdite minori. Ovviamente, de Gaulle non presentandosi perse il premio. Tutto questo influenzò l'assetto geopolitico e la storia dell'intera Europa, nonchè la storia del calcio. Pensate a cosa sarebbe diventata la Francia calcisticamente. Anche se, come scrive Zerf, con Raymond Domenech alla guida avrebbero vinto tanti mondiali quanti ne hanno adesso.

ZERF, IL CIBO E IL TEMPO

Presso la Bodleian Library della Oxford University, nella sezione speciale “World Heritage Memorial Fund”, è custodito - con codice di catalogazione OX-AC-UK 2344/R - un curioso pamphlet dal titolo “Analisi gastrotemporale”. Il volume, di nitida e corretta edizione, consta di ottantadue pagine ed è stato pubblicato nel 1933, per i tipi di Librairie Philosophique J. Vrin di Parigi, a firma di tale Crono Malinconico. Nel 1999 un team di esperti grafologi del N.O.M.I. (National Old Manuscripts Institute) di Boston ha condotto una serie di esperimenti sul libello in argomento e, avvalendosi delle più innovative tecniche di olografia conoscopica e microprofilometria laser, ha sancito, in via definita e definitiva, che dietro il mitologico pseudonimo si celasse proprio il brillante pensatore tedesco William Pickett Anderson Zerf. L’attribuzione della paternità dell’opera è, peraltro, confermata da autorevoli rappresentanti della dottrina nazionale (Moreno Taddeis de La Grange in “Disanominizzazione di alcuni scritti stravaganti del Novecento”, Ed. Zanichelli, Bologna 2002, pp. 38-42) ed internazionale (“Woodworth, Zerf and Sullivan. About time synchronization and food integration”, in Nature-Neuroscience no. 7, Nat Publishing Group, New York 2001, pp. 567-590). Sebbene “Analisi gastrotemporale” sia stato composto da un giovanissimo Zerf (NdA: il Nostro è nato nel 1918), esso si rivela essere uno studio approfondito, empiricamente fondato ed esaustivo sulla relazione tripolare uomo-cibo-tempo ed anticipa, de facto, le più moderne teorie antropologiche in materia. L’originale trattato si suddivide in due parti. La prima sezione, di eminente carattere scientifico, riporta le risultanze di una sperimentazione, durata diciotto mesi ed eseguita dallo stesso Pickett Anderson, sull’ingestione di alimenti correlata all’età dell’essere umano. Al test, basato sull’osservazione delle variazioni funzionali dell’esofago e del tratto gastroduodenale (alterazioni motorie, ispessimenti, dilatazioni antrali) a seguito dell’ingestione di quattro alimenti-campione (un’anatra bordolese, un formaggio di capra del piccolo villaggio di Chavignol, un bloc de foie gras avec morceaux ed una normalissima baguette), sono stati sottoposti quarantotto soggetti suddivisi in tre distinte classi anagrafiche (bambini, adulti ed anziani). Il Nostro, analizzando - attraverso i diagrammi di flusso di Boyle - il programma nutrizionale e le relative variazioni gastroenteriche da esso generate, è riuscito a determinare l’età esatta (con un margine di errore compreso tra le due e le cinque settimane) degli individui sottoposti all’esperimento. Vale la pena evidenziare che, proprio da questi risultati, oltre cinquant’anni dopo, hanno tratto spunto gli studiosi della Scuola di Praga per sviluppare i celebri principi generali della teoria quantistica sulle occlusioni fecali. La seconda parte dell’opera, particolarmente interessante dal punto di vista filosofico, si sostanzia, invece, nell’elencazione ragionata di una serie di aneddoti ed assiomi illuminanti che aiutano a comprender meglio il tormentato rapporto di William Zerf con il cibo. Tra tutti segnaliamo l’ormai universalmente noto “Dimmi cosa mangi e… ti dirò cosa mangi”: la critica è concorde nel ritenere che dietro l’apparentemente ovvia tautologia si nasconda una geniale intuizione rivelatrice che, in ultima analisi, rappresenta la più riuscita metafora della triste e banale condizione umana.

Massimo Roscia, scrittore e gastronomo

martedì 24 febbraio 2009

1934: l'esperimento dello specchio

Il 1934 è un anno importante per Pickett: il suo sedicesimo compleanno coincide con il periodo più nero per la sua, già minata, coscienza. L'invito a riflettere da parte del parroco Anselm Pierre, dell'abbazia di Belp, non sortisce risultati.
Il metodo Zerf, già abbozzato ma in uno stadio embrionale, non lo aiuta.
Decide allora di sperimentare empiricamente la riflessione: prende uno specchio, un paio di lacci e una candela.
Accende la candela vicino alla specchio e si guarda allo specchio.
Distoglie lo sguardo, riflette tra sé e sé e si riguarda allo specchio.
Ripete l'esperimento per due giorni ma oltre a vedersi allo specchio, non ha alcuna intuizione.
Il terzo giorno, l'illuminazione: capisce che se riflette tra sé e sé, dall'altra parte dello specchio la sua immagine, oltre a riflettere a sua volta tra sé e sé, riflette anche la sua figura.
Pickett prende foglio e penna e mette nero su bianco quella che sarà una delle teorie più fortunate, la teoria che non è il caso: in pratica è inutile fare qualcosa che qualcun altro, o qualche altra cosa, fanno meglio di te.
L'inutilità dell'azione umana è, secondo lo Zerf, paragonabile all'inutilità di un paio di lacci in un esperiemento scientifico.

lunedì 23 febbraio 2009

Pickett Anderson Zerf e il fumo



Dei tanti vizi illegali di W. P. A. Zerf quello del fumo è uno dei pochi, forse l'unico, legale; sempre che non si parli di Papua Nuova Guinea dove, come ben saprete, il fumo è punito con l'asportazione della trachea e una multa simbolica di 1 kina. Zerf per molto tempo è stato un fumatore incallito. A riguardo di questo attuale problema scrive, nel pomeriggio del 23 aprile 1953, e pubblica il mese successivo un testo dal titolo "Smettere di fumare è difficilissimo. Io ci riesco quasi tutti i giorni ma io sono io", testo piuttosto superficiale, nonchè fumoso, che ha l'unico pregio di aver aperto la via alla pubblicazione di manuali che insegnano cose inutili. Dopo essere riuscito a smettere di fumare almeno 150 volte Zerf decise che non doveva più dimostrare niente a nessuno e in un momento di riflessione, pubblicò il breve saggio "Ho smesso di fumare...le mie" che consta di 76 pagine. Inizialmente il volumetto era di 78 ma le due pagine manchevoli, vennero usate come filtrini. Il libro in questione risulta piuttosto caotico nella parte delle conclusioni, in quanto Zerf viene assorbito da altre tematiche che attirarono il suo dinamicissimo pensiero. In questo periodo inizia, infatti, la stesura di quello che Gian Egidio Rossi Riboldi ritiene il massimo capolovo Zerfiano, ovvero, il discusso ma anche discutibile "Metempsicosi del souvenir di viaggio: etica e poetica del turismo di massa". In questo lavoro incompleto di 4 tomi e mezzo, Zerf analizza l'idea di viaggio, inteso anche come mero spostamento non finalizzato. L'opera rimase incompleta forse per via del fatto che, come scrive Leed nel La mente del viaggiatore "uno dei piaceri del viaggio, è la gioia dell'incontro con realtà diverse e strane, non è altro che una riduzione della tensione e dell'angoscia che l'ignoto provoca fin dall'infanzia". Tutti, ormai sappiamo, quanto Zerf fosse scontroso e poco incline a conoscere realtà strane, e specialmente, quanto sia stata problematica la sua infanzia. (Foto: parte della collezione di sigari di Zerf, donatami di persona dallo stesso Zerf).

Pickett Anderson Zerf e i nuovi campi di ricerca

Inutile enumerare le teorie di Zerf e i campi di applicazioni di esse. Una, però, ritengo sia necessario riportarla sotto la luce dei riflettori. Zerf, come tutti sappiamo, scrisse saggi importantissimi su molteplici aspetti del sapere. Alcuni, per l'acutezza propria dello sguardo del nostro, passarono in sordina perchè troppo avanguardisti negli anni 30-40 ma tutt'ora, nel 2009, sono ancora incompresi. Potrei citare, per esempio, "Applicazioni ed epistemologia della stilografica" oppure "La credenza danese: teorie rarefatte o teorie fatte rare?" e per finire "Macrostruttura del sonno e teoria della conservazione dell'energia". Proprio quest'ultimo di Zerf dedicato al sonno, che ha tanto influenzato il lavoro del 1985 di Fagioli e Salzarulo che lo presentano come "uno stato dell'organismo caratterizzato da una ridotta reattività agli stimoli ambientali che comporta una sospensione dell'attività relazionale (rapporti con l'ambiente) e modificazioni dello stato di coscienza", meriterebbe maggior fama. In questo libro di circa 232 pagine, stampate solo verso, Zerf analizza il sonno paragonandolo a molteplici attività della vità quotidiana e ponendosi una domanda fondamentale: "Se si può correre più veloce, mangiare più veloce, respirare più veloce, è possibile anche dormire più veloce?" La riposta, nel periodo "perchenoista", ovviamente fu "Perchè no?". La studio non venne approfondito ulteriormente perchè gli appunti vennero persi, in un triste pomeriggio di ottobre durante una gara di cani, e non furono più ritrovati; ma anche perchè nel 1942, dopo la fase "perchenoista" William Pickett Anderson Zerf capì che non è educato rispondere ad una domanda con un'altra domanda.

Il metodo Zerf contro il medoto Pollyanna


Il metodo Zerf, la risposta "Perché no?" a qualsiasi domanda, si scontrò intorno agli anno '40 del secolo scorso con il metodo Pollyanna che presupponeva una ricerca del lato positivo della vita.
Il secondo metodo tratto dal romanzo "Pollyanna" di Eleanor H. Porter trovò, sin da subito, molti adepti tra la media borghesia operaia e proletaria danese (la società danese era abbastanza confusa in quel periodo) ma fu dopo la pubblicazione dell'articolo "Che vuoi che ci sia di positivo nella stipsi!" da parte di P.A. Zerf che lo scontro si acuì tanto da generare sommosse tra le due parti in lotta: i positivisti e i perchenoisti.
Il fatto che fu creata, nel 1986, una serie animata su Pollyanna e che non uscì mai una serie animata su P.A.Zerf dà l'idea su chi la spuntò.
Il nostro compito è, adesso, fare 1 a 1.

domenica 22 febbraio 2009

Zerf: tra mito e leggenda

Intorno al personaggio di William Pickett Anderson Zerf, o come lo chiamavano tutti i suoi amici, Pickett Anderson Zerf, ruotano molte storie. Non esiste infatti una sua biografia ufficiale ma dalle cronache del tempo siamo risaliti ad alcune probabili biografie non ufficiali che sono ancora al vaglio degli storici.
William Pickett Anderson Zerf, o come lo chiamavano tutti i suoi amici, Pickett Anderson Zerf, nasce nel 1913 in una piccola cittadina danese a pochi chilometri dalla capitale danese. La sua infanzia fu segnata dal fatto che i suoi genitori erano sempre fuori per lavoro tornavano sempre in occasione del capodanno cinese, cosa che per un certo periodo confuse il giovane Pickett Anderson Zerf al punto di non comprendere più il vero fluire del tempo. Forse fu proprio questo episodio ad infondere nel giovane zerf, la passione per l’oreficeria e per la misurazione del tempo.
L’adolescenza di Zerf, fu quella di qualsiasi altro giovane che aspirava a creare qualcosa di nuovo e sorprendente, che il mondo apprezzasse e nello stesso tempo imparasse a valorizzare. All’età di quindici anni, Pickett Anderson Zerf emigrò all’estero per cercare fortuna, poiché la sua concezione di tempo e la sua lingua parlata non corrispondevano al normale senso civico danese. La sua tata infatti, Maria Nunez Andres, emigrata in Danimarca per cercare lavoro come badante, parlava solo ed esclusivamente portoghese, quindi fin da piccolo il giovane inventore imparò a pensare con la propria testa, fuori dagli schemi di una società troppo basata su una canonica misurazione del tempo. Si stabilì allora nella ridente cittadina di Belp, a pochi chilometri da Berna. Continuarono però i soliti problemi di comunicazione ma il giovane William Pickett Anderson Zerf, o come lo chiamavano tutti i suoi amici, Pickett Anderson Zerf, non si scoraggiò e dopo un anno e mezzo di durò lavoro riuscì a imparare la sua prima frase nell’idioma oltralpe: “Niet caffè, merci”. Una data importante nella vita del giovane orafo fu il 1929, quando iniziò a lavorare come garzone nella bottega artigianale del Kaiser Belp, nell’omonima cittadina. Qui Zerf imparò i rudimenti della misurazione del tempo, il corretto modo di fondere i metalli, l’arte della creazione di meccanismi perfetti e la cottura ottimale del pane con l’uvetta. Solo dopo i primi mesi si capirono già le potenzialità del giovane inventore, incuriosito, appassionato, ossessionato dal suo nuovo lavoro.
Dopo due anni di apprendistato, Zerf riuscì a trasformare quella piccola bottega artigianale in una delle quattro grandi industrie del cantone svizzero, applicando i principi base della catena di montaggio (che un certo Ford qualcosa aveva applicato in America, credo) con una suddivisione verticale del lavoro. Ma nonostante la fama, le persone intorno a lui continuavano a non capirlo. Le sue idee cominciarono a risultare troppo innovative e lo spettro della sua lingua portoghese continuava ad aleggiare nei salotti dell’alta società di Belp. Se da una parte le sue idee di organizzazione del lavoro venivano osannate, dall’altra erano viste con timore le sue idee di orologi da polso giganti.
Nel 1932, a soli ventinove anni, Zerf conobbe il filosofo Martin Joan Olsen con il quale iniziò una amicizia epistolare che però non fu mai ricambiata. Lo studio della filosofia, dell’amore per il sapere cominciarono a prendere il sopravvento tanto che per alcuni anni egli si ritirò a fare l’eremita nella biblioteca comunale di Belp. La cosa da subito creò un certo scompiglio, poiché Pickett Anderson Zerf era solito leggere con indosso solo i suoi amati calzoncini di pelle tirolesi.
Dopo circa due anni di studi, in cui il povero Zerf si cibò solo di thè, biscotti e rape al vapore (di cui sappiamo dalle cronache che Zerf era molto ghiotto) che gli venivano recapitate dal ristorante a fianco della biblioteca ,la sua produzione letteraria non fu però così vasta, poiché risulta dagli archivi della biblioteca comunale di Belp che in due anni di soggiorno, Zerf lesse solo tre libri, di cui due illustrati e che passò la maggior parte del tempo a disegnare orologi sulle copertine dei libri che trovava. Purtroppo le informazioni su Zerf terminano nel 1942.
Negli ultimi anni passati a Belp, i suoi assistenti raccontano di un uomo del tutto diverso da quello conosciuto, un uomo tranquillo, mite che era solito ripetere di aver trovato la soluzione a tutto.

sabato 21 febbraio 2009

Pickett Anderson Zerf e la tristezza

Era così triste Pickett Anderson Zerf che pure i cani lo scansavano. Non sempre, tranne che a giugno. In quel mese si sentiva meglio, ma non si chiese mai il perché. Sapeva benissimo che il genere umano è figlio dell'Africa, che il 1450 a.C. segna la conquista micenea di Creta, che i reggiseni delle donne debbono essere comodi invisibili e glamour. Sapeva troppe cose per essere allegro, quindi meglio non interrogarsi troppo riguardo al mese di giugno. Meglio non sapere e correre felice nei prati, con tutti i cani del quartiere.

venerdì 20 febbraio 2009

Pickett alcoolista?

L'alcoolismo nella sua variante peggiore, e cioè l'alcoolismo danese, è ormai a tutti gli effetti una piaga per la nostra società contemporanea.
W.P.A. Zerf sembra fosse alcoolista.
Lo confermerebbe un quaderno di appunti che aveva deciso di pubblicare col titolo Viaggio al termine della botte che non ebbe mai luce editoriale.
Gli studiosi sono scettici e anch'io se devo dirla tutta.
Sono stato colto, in realtà, da un'irrefrenabile vogli di scrivere qualcosa che contenesse la proposizione "la nostra società contemporanea".

Il piccolo Willy

Il piccolo Willy in una foto tratta dagli archivi della fondazione Zerf sita ad Andernach, città che diede i natali al nostro nel 1918. Questo scatto è del 1922 e rappresenta il piccolo Willy all'età di 4 anni. Potete vedere un bimbo sorridente e dall'aria biricchina. Non fatevi ingannare: fin da tenera età, fu molto problematico. Problematicità che esplosero nell'età dell'adolescenza. Memorabile l'episodio del 1933 quando, festeggiando il suo 15esimo genetliaco, disse al padre: "Sono stanco di adolescere". Dai diari della madre di Willy (conservati negli archivi della fondazione) si possono leggere alcuni passi molto toccanti, uno su tutti quello del 28 ottobre 1925 (Willy aveva 7 anni): "Oggi il mio piccolo Willy è più ombroso e scontroso del solito. Inizio ad essere preoccupata. E' sempre chiuso in camera sua a rimuginare sullo stesso argomento: il tempo. Più volte, l'ho invitato ad uscire a giocare con i suoi compagniucci di squola (sì, scritto così con la q. La madre di William Pickett Anderson Zerf era una grandissima donna, ma non ebbe modo di studiare. Tutto quello che apprese, lo apprese da sé), ma mi ha risposto con tono perentorio "Come posso uscire a giocare! Io sono il predestinato! Io devo rispondere a delle domande fondamentali! Il tempo è assoluto o meramente relazionale? Il tempo senza cambiamento è concettualmente possibile? Il tempo scorre, oppure l'idea di passato, presente e futuro è completamente soggettiva, descrittiva solo di un inganno dei nostri sensi? Io devo rispondere a queste domande madre, non tediarmi con i miei compagniucci!!". La nota di quel giorno si conclude con una donna sconsolata che chiede se può almeno portare un po' di pane, burro e zucchero al figlio che risponde: "Perchè no?".

giovedì 19 febbraio 2009

Il primo Zerf Store del 1932


Tra le carte del prof. Zerf che mi sono state affidate, ho trovato questa immagine del primo ZERF STORE del 1932 in Danimarca. Ho fatto una scansione ed eccola qui.
Aveva 14 anni e già aveva volontà da vendere (purtroppo solo quella, perché il negozio chiuse tre mesi dopo in balia degli strozzini).

mercoledì 18 febbraio 2009

WILLIAM PICKETT ANDERSON ZERF

Ebbe l’idea fissa del tempo William Pickett Anderson Zerf . Nacque il 21 marzo ( primo giorno di primavera ) del 1918 ad Andernach ( nella regione della Renania-Palatinato, in Germania ) dove sua madre, tedesca, incontrò suo padre, un soldato polacco-olandese, durante l'occupazione tedesca alla fine della prima guerra mondiale. All'età di due anni la sua famiglia si trasferì a Breeno nelle Fiandre, per poi abbandonarle bruscamente con l’avvento della famosa epidemia pestilenziale del 1923.

L’allegra famigliola trovò rifugio a Le Havre in Normandia dove il piccolo Willi frequentò gli studi. Qui trascorse la sua giovinezza, alternando le sue precoci letture filosofiche con i racconti dei pescatori dai maglioni neri dai lunghi colletti, ch’egli stesso da quei giorni indosso sempre. Di questi anni è l’epistolario con il grande filosofo tedesco Martin Heidegger, il quale proprio grazie all’apporto delle conclusioni del giovane Pickett pubblicherà Essere e tempo nel 1927. L’idea della finitezza della vita e della consapevolezza dello scorrere del tempo sono i punti fondamentali del pensiero di Pickett. La sua riflessione giunge a comprendere la relazione profonda che lega l’esistenza umana alla temporalità. Il “senso dell’essere” si svela dopo la comprensione del tempo che passa e mai dimenticarsi del tempo che passa. Ecco l’illuminazione: costruire un grande orologio da polso di almeno un metro di diametro, con una quarta lancetta, dal moto verticale, rivendicatrice dell’acquisizione di “senso raggiunto”.

L’unico modello che Pickett riuscì a realizzare lo indossava egli stesso, il mercato francese ed europeo dell’epoca era distratto dalla rincorsa agli armamenti, di lì a poco la seconda guerra mondiale. Successivamente l’invenzione cadde in definitiva disgrazia e venne dimenticata.
Una grande ed ultima testimonianza però ci rimane, quella del filosofo esistenzialista ed amico Jean-Paul Sartre che cosi scrisse: “ Ricordo l’ultima volta che vidi Pickett Anderson Zerf, era il 13 giugno del 1940, il giorno prima dell’occupazione tedesca, camminava per rue des Capucines con il suo grande orologio da polso e una baguette fumante sotto il braccio. Indossava sempre quel maglione nero dal lungo colletto, anzi fu grazie a lui che noi tutti iniziammo a metterlo.“
Da quel giorno di William Pickett Anderson Zerf non si seppe più nulla.

Grazie alle ricerche di Roberto Santoro, il cantautore, e di Fabrizio Maramao, il filosofo-imprenditore, compiute a metà degli anni novanta del secolo scorso, fra una partita di scopa e un bicchiere di tequila Sauza , oggi il sogno di William Pickett Anderson Zerf si è realizzato.

Breve commento all' "Ode alla volgarità" di P.A. Zerf


L' Ode alla vogarità è un piccolo libello di trenta pagine (di cui due bianche) uscito in sordina nella primavera del 1932. Dopo l'insuccesso di Essere & Lampo, lo Zerf decise di tornare sulla problematica del tempo, cercando stavolta un argomento più vendibile.
Già dalle prime righe si evince, dal tono, che, l'autore in questione, è molto arrabbiato.
A pag. 2, dopo un susseguirsi di insulti a Emilio Caballero (l'acerrimo nemico universitario), lo Zerf inizia a sviscerare l'argomento.
Tema centrale è il presente (anche quello non indicativo): il presente come pre-sente.
Il pre-sente si pone quindi da subito come la chiave di volta per la comprensione del tempo.
Pre-sente come prima che sente e quindi come sordo.
Per un errore di distrazione a pag.9 però, il Pickett confonde sordo con sordido ed inizia una lunga sequela di esempi di come il sordido si annidi nella nostra contemporaneità.
La volgarità, il sordido, la bassezza degli istinti è secondo Zerf l'unico motivo dell'esistenza.
La tesi sopra esposta fu ripudiata dall'autore nel 1933, dieci mesi dopo l'uscita del libello e tre mesi dopo l'accusa di sconcezza che si risolse in una condanna a tre anni.