martedì 8 marzo 2016

7 anni (e manco in Tibet)

Quel maledetto autobus sembrava non passasse mai.
E forse non è mai passato.
Pickett non vedeva l'ora, e neanche il giorno, considerando che lo ha aspettato per 7 anni.
Alla fine si è stancato di aspettare.
Ed è tornato.
Così dicono.
Così dice.

martedì 17 novembre 2009

La ridondanza dell'eco: la storia di Albert Emme

La Ridondanza dell'eco, eco, eco, co, co, o, o è l'ultimo capolavoro di P. A. Zerf. Questo romanzo di ampio respiro narra le vicissitudini di Albert Emme; nome di fantasia come specifica l'autore. Non è dato di sapere con precisione se quella raccontata sia, o no, una storia vera; anche se il sottotitolo "storia vera" nella copertina fa pensare di sì. Questo libro, come ogni capolavoro, è un genere di nicchia; un po' come il genere gonzo o anal nel porno e, in quanto tale, solo pochi possono apprezzarne la profondità del messaggio.

Il libro in oggetto è una spietata, fredda, cruda ma lucidissima analisi della società moderna, percepità da Zerf come culla di menzogne. Il personaggio Albert Emme è la tipica persona normale che un evento scatenante trasforma in serial killer. L'evento è la metafora della quotidianità, ovvero, un'occasione, una possibilità che può accadere ad ognuno di noi. Albert Emme incontra una piacevole ragazza, alta, bella che però ha il vizio di chiudere la portiera della macchina con troppo impeto. Il rumore provocato dallo sbattere della portiera risveglia in Albert antichi e dolorosi ricordi, sopiti da anni di psicoterapia e psicofarmaci. Dolorosi ricordi che esploderanno in furiosa rabbia omicida.

Zerf racconta con meticolosa precisione da certosino l'antefatto dal quale si snoda tutto il libro. Albert da piccolino viveva in una casa a due piani. La sua cameretta con la carta da parati con le api, i barattolini di miele e i favi era posizionata sotto la camera da letto dei suoi genitori. I sonnellini del giovane futuro serial killer erano spesso disturbati da uno "sleng sleng" ritmato. Per molto tempo Albert non riuscì a dare una spiegazione a questo rumore; un giorno a scuola, dopo l'ennesima competizione su chi avesse il pene più lungo, Albert chiese consiglio al compagniuccio Frederick Effe. Scrive Zerf:

Frederick rispose: "Albert sei proprio un babbucchione!! Lo sleng sleng del quale mi racconti sono le molle del materasso dei tuoi genitori!! E' tuo papà che da sfogo ai suoi istinti animali mettendo il pene nella vagina di tua mamma!!"

In queste pagine che scandagliano la mente umana, si vede tutto il talento narrativo di Zerf, che scrive:

In Albert scatta qualcosa. La risposta di Frederick è una lama sul collo. Albert sa che suo padre Sir Basilius Emme vive in ufficio; ma sa anche che ultimamente in casa girano troppi idraulici, piastrellisti e un ballerino di flamenco con le credenziali di elettricista.

Ovviamente il giovane Emme non può rassegnarsi ad avere una mamma lasciva. Decide di chiedere spiegazioni alla genitrice. In questo dialogo, Zerf tratta con impressionante competenza lo spinoso argomento del complesso di Edipo:

"Madre, ho bisogno di parlarti" disse Albert con gli occhi che sfuggivano.
"Un attimo figliolo" rispose dalla camera con voce affannata la madre, senza che quel sinistro sleng sleng cessasse per un solo secondo.
Dopo qualche minuto la madre socchiuse la porta, rimanendo con il corpo che sembrava nudo dietro allo scudo di rovere. Albert potè vedere il viso della madre arrossato e imperlato di sudore; il rossetto diventato macchia intorno alle labbra. Nel vedere la madre così, come un personaggio dei dipinti di Toulouse Lautrec, il giovane Albert ebbe una timida erezione, foriera di abbondanti polluzioni notturne anche nei sonni ad occhi aperti in classe nell'ora di trigonometria. Dentro la camera avvertiva la presenza di un corpo, sentiva un respiro affannato. Quel corpo non aveva viso né nome.
"Dimmi tesoro, ma veloce che la mamma stava riposando".
"Madre da molte settimane il mio sonno è disturbato da un molesto sleng sleng che proviene da qui! Sai dirmi cos'è?" chiese Albert trattenendo a fatica le lacrime.
"Tesoro mio, da qui? Sei sicuro?"
Nello stesso preciso istante, da dietro la porta di rovere esplose uno sleng sleng. La presenza senza viso né nome (ma che avrà il nome e il viso di ogni futura vittima), dopo essersi nettata le pudenda si era tuffata sul letto. La madre giratasi di scatto bofonchiò: "Tanto bello e sessualmente attraente, quanto stupido!"
Poi guardò dritta negli occhi il figlio: "Ah, intendi questo rumore? Mio dolce fuco, questo rumore proviene da fuori. E' il carrozziere che chiude le portiere delle macchine che sta riparando!"
Albert guardò la madre, quasi ringraziandola per quella bugia: "E' un rumore fastidiosissimo, madre, mi innervosisce tanto che potrei uccidere!"

Questo dialogo cruciale per l'economia del libro, farà cadere Albert nell'inferno della serialità assassina. Ucciderà per la prima volta per caso. La prima vittima sarà una cameriera colpevole solo di avergli macchiato i pantaloni beige con del cappuccino. Macchia quasi impossibile da vedere, tanto che Albert non era nemmeno sicuro che la goccia fosse effettivamente finita sui suoi pantaloni. Il primo omicidio, gli diede la consapevolezza di poter uccidere e la convinzione di farlo in nome di Buddha. Albert girava sempre con un auricolare bluetooth, una sorta di scudo come scrive Zerf:

Albert sapeva che in nessun luogo era a riparo dalle menzogne. L'unico modo per difendersi era evitare di sentirle. Decise così di chiudere un orecchio al mondo tenendolo impegnato per sempre con un auricolare bluetooth. Il destino beffardo volle che un giorno da quell'auricolare un'interferenza gli fece sentire una conversazione tra un uomo ed una certa Valeria. Albert cercò subito di capire quale arcano volere gli avesse fatto sentire questa conversazione e, soprattutto, perchè il nome Valeria.
"Forse Buddha vuole che io uccida Valeria?" si chiese.
"Perchè no?" rispose Buddha dall'auricolare bluetooth.

Il libro continua con un pathos sempre in crescendo. Concluderei dicendo che in questa opera ritroviamo la splendida penna di Zerf che come un bisturi seziona il cervello del piccolo Albert Emme, cercando fra le sinapsi l'iter che lo ha portato a diventare assassino. Posso solo dire che è un romanzo che merita tantissimo e gli Spandau Ballet hanno comprato i diritti d'autore per fare la colonna sonora, sperando che qualcuno ne tragga un film. Non dalla colonna sonora, dal libro.

Nelle prossime ore: La Ridondanza dell'Eco

A breve la recensione dell'ultimo incredibile lavoro di Pickett Anderson Zerf. Una storia che gronda sangue da ogni riga per questo si sconsiglia di leggerlo sul divano. Una storia di violenza inaudita e contagiosa che vi farà venire voglia di uccidere il vostro vicino di casa. No, non quello antipatico, troppo facile, ma il vecchietto in pensione gentile e cortese.

martedì 17 marzo 2009

1936 - la ribellione, il perfezionismo, la galera.

Poco si sa del Pickett giovane: le poche notizie che abbiamo ci danno un quadro complessivo da cui si evince che fosse un ragazzo difficile, scontroso e insofferente a qualsiasi tipo di disciplina e gerarchia. Un episodio su tutti è quello della detenzione in carcere.
Nel 1936 a 18 anni, Pickett Anderson Zerf, finì per due giorni in prigione per atti vandalici contrari al pubblico decoro (così nela casellario giudiziario di Belp, pag.42, quadro A, sezione penale - 1936).
Zerf amava decorare i treni della stazione di Belp (pratica oggi assai diffusa tra i giovani), solo che a quel tempo non c'erano le bombolette spray e tutto doveva essere fatto con pennello e tavolozza.
Zerf impiegò ventidue ore a dipingere una parte del treno (la foto in alto lo ritrae in opera) decidendo, poiché era un perfezionista, di riprodurre un quadro in voga in quel periodo, la Ragazza alla finestra di Pablo Picasso.
La polizia allertata, aspettò che il ragazzo finisse l'opera per arrestarlo.
La famiglia dovette pagare la riverniciatura del treno.

mercoledì 11 marzo 2009

1941 - La vita fa schifo.
Pensieri per le nuove generazioni.

Mentre la guerra imperversava e insanguinava mezza Europa, Pickett Anderson Zerf e Petra, sua moglie, ebbero un'accesa discussione (come raccontato dallo stesso autore nel suo, ormai, celeberrimo diario).
Il 6 dicembre del 1940 Petra comunicò al marito il suo desiderio di avere dei figli.
Pickett reagì male: secondo il nostro autore, infatti, non avrebbe avuto senso "gettare nel mondo triste" un'altra vita.
Per giorni i due non si parlarono.
Non riuscendo a convincere la moglie, Pickett decise di approfondire la questione e si ritirò nel suo studio.
Venti giorni dopo, presentò al suo editore un testo dattilografato dal titolo La vita fa schifo. Pensieri per le nuove generazioni che venne pubblicato l'anno seguente.
In esso l'autore, fermo restando l'inutilità stessa della vita e di ogni sforzo, apre ad un pensiero positivo ed entusiasta.
"La vita fa veramente schifo (pag.16 corsivo nel testo) ma dopo che sei nato, ormai, che senso ha ricordarlo?".
"Anche i rapporti personali fanno schifo (continua a pag. 28) ma basta poco per innalzare un ponte levatoio di diffidenza ".
"La vita è fatta per porvici rimedio - diceva Soflocle - e lo dico pure io" (ibidem pag.33).
"Ma esiste la redenzione?" si chiede Zerf a pag. 35.
"No" si risponde.
E la pubblicicazione finisce.
Tronca.
Sì seppe in seguito che Pickett divenne padre nove mesi dopo essere tornato dall'ufficio del suo editore.

martedì 3 marzo 2009

1940 - Zerf vs. Streicher: In difesa di tutte le razze


Julius Streicher, tedesco, fu un leader del Partito nazionalsocialista ed editore del settimanale violentemente antisemita Der Stürmer.
Dopo la seconda guerra mondiale guerra, Streicher figurò tra gli imputati al processo di Norimberga, accusato di essere uno dei principali istigatori dell'odio razziale nei confronti della popolazione ebraica che aveva condotto alla Shoah.
Queste poche righe riassumono la vita di uno dei più controversi pubblicisti e autori del secolo scorso con cui anche il nostro P.A. Zerf ebbe a scontrarsi.
Successe intorno al 1938: P.A. Zerf, preso nella morsa delle sue riflessioni sul tempo, decise nel gennaio di quell'anno che "una modifica del contesto può comportare una modifica nella testa". Una frase incomprensibile scritta su un bigliettino che P.A. lasciò a sua moglie Petra.
Gli studiosi sono concordi nel ritenere che il "cambio del contesto" non fosse altro che una breve fuga dal suo eremo in cui si era confinato da anni, mentre il "cambio nella testa" fosse, più che altro, la segreta speranza che questa fuga potesse dare risposte alle tante domande che negli anni si era posto.
Decise di soggiornare a Duntergrass, poco lontano da Belp, e passare il tempo a fare quello che (a suo dire) sapeva far meglio: pescare.
Sin da piccolo infatti, il piccolo Willy si era appassionato alla pesca, sognando il blu dell'oceano attraversato da gruppi infiniti di pesci.
Dopo circa due anni, sulla riva del ruscello Tainder, trovo una pagina strappata e accartocciata del famigerato Der Stürmer il cui titolo dell'articolo recitava "La razza eletta contro la razza inferiore da distruggere". Benché la lettura della pagina fosse compromessa dai tagli alla carta e ormai l'inchiostro fosse sbiadito, Zerf fu comunque attraversato da un'ondata di disgusto: si arrabbiò a tal punto da tornare a Belp il giorno stesso e si chiuse nel suo studio.
Due mesi dopo, nel novembre del 1940, venne pubblicato "In difesa di tutte le razze" un violento pamphlet contro Der Stürmer e Julius Streicher, firmatario dell'articolo che lo aveva fatto imbestialire.
Dividere i pesci in pesci eletti e da eliminare è quanto di più spregevole ci possa essere anche perché, scrive lo Zerf, malgrado le differenze, sono simili infatti per ognuno di loro "la parte inferiore del loro corpo è piena di terminazioni nervose che fungono da organi tattili"(ibidem pag.35).
Solo menti malate, a detta del nostro autore, possono pensare di introdurre queste assurde divisioni, propagandandole con tale ferocia.
"L'oceano è attraversato da gruppi infiniti di pesci, tutti uguali tra loro "(ibidem pag.48) sentenzia Zerf e continua "E' giusto, a questo punto, considerare i tedeschi un popolo inferiore".
Il libello in questione, oltre a far infuriare i vertici del Reich (Hitler lo voleva morto e mise su di lui una taglia di 15 mila Marchi), non ebbe alcun altro successo.
Il dibattito che si aprì negli anni '70 del secolo scorso non condusse a nessuna soluzione: non riuscendo a definire, una volta per tutte, se si trattasse di un coraggioso libello metaforico contro il nazionalsocialismo oppure un trattato di ittica, gli studiosi preferirono dimenticarlo.

lunedì 2 marzo 2009

Escatologia e scatologia in P.A. Zerf



La teoria finale sul tempo di P.A.Zerf, gia abbozzata in Essere in tempo, trova una sistemazione quasi definitiva tra le righe di articolo pubblicato nell'eminente Belp Tribune, il 15 dicembre del 1942, da titolo "La fine, infine".
Sin dall'inizio della sua tribolata esperienza come pensatore, il problema del fine ultimo dell'esistenza ha rappresentato, e rappresenta tutt'oggi per tutti coloro che si sono appassionati al pensiero, alle opere e alle omissioni del grande filosofo, un argomento di indagine e di acceso dibattito.
Nell'articolo sopracitato lo Zerf ammette, con rara onestà, di non avere la men che minima idea di cosa significi il termine escatologia e di far finta, dopo aver letto Abelardo, di conoscerne la semantica.
Si può dunque parlare di escatologia senza sapere cosa significa: questa è uno dei punti fermi.
L'uomo, è dunque, gettato nell'esistenza in una condizione di buio totale, e arranca, senza sapere bene cosa stia realmente facendo.
"La vita è fatta per porvici rimedio" sentenzia lo Zerf.
Ma la svolta verso il nulla è sempre dietro l'angolo.
"Magari senza volerlo, magari senza cercarlo, ma alla fine arriva.
Puoi guardarti alle spalle quando vuoi, puoi camminare all'indietro o strisciare rasente i muri, ma alla fine arriva.
E non c'è niente da fare. "
Molti, nella "cosa che deve arrirare" vedono la presentificazione della morte terrena, altri della malattia.
Niente di entrambe a nostro giudizio.
La cosa che deve arrivare è il mare fecale della sfortuna, lo tsunami della malasorte.
"Io non vinco mai" c'è scritto in conclusione dell'articolo e suona lapideo e destrutturante.
Malgrado tutto però, il suo approccio positivo all'esistenza lo porterà al quel temporaneo e non duraturo successo che il suo pensiero riscontrò verso la fine della seconda guerra mondiale e di cui ci occuperemo in seguito.